Sudan: la tragedia del Darfour (14 dicembre 2004)
C’è un Paese africano che più di ogni altro simboleggia il dramma in cui
si dibatte un intero Continente. Parliamo ovviamente del Sudan, e della
tragedia che sta colpendo senza pietà la regione del Darfur che, grande
quanto l’intera Francia, rischia di trasformarsi nell’enorme, sanguinoso
teatro del più grave genocidio di tutti i tempi.
Dopo oltre vent’anni di guerra civile, che danno a questo conflitto un
triste primato in termini di morti e crimini contro l’umanità, non
sembra che la situazione sia stata in alcun modo alleviata dai recenti
accordi conclusi tra le parti in causa, anzi. Dal 2003 le milizie arabe
del governo di Karthoum hanno avviato un vero e proprio programma di
pulizia etnica nel Darfur, sterminando le minoranze religiose che da
sempre popolano questa regione.
Lenta ed inadeguata, come purtroppo spesso accade, è l’azione umanitaria
occidentale nei confronti di questa terra martoriata, e della sua
popolazione ormai allo stremo.
Per troppo tempo, un’imperdonabile cortina di silenzio ha permesso ai
carnefici di agire totalmente indisturbati su popoli indifesi, su donne
e bambini, colpevoli soltanto del loro credo. Quando alla fine la
drammatica forza dei fatti ha imposto l’esplosione mediatica sul "caso"
del Darfur, il costo in vite umane era già di proporzioni bibliche.
Quanto ancora l’Africa dovrà soffrire per scuotere una volta per tutte
la sostanziale indifferenza del ricco Occidente ?
Gli stessi responsabili delle Organizzazioni Internazionali ed
umanitarie sono stati costretti ad ammettere che, nel caso del Sudan,
qualcosa non ha funzionato. Le risorse economiche assegnate
all’emergenza del Darfur sono giunte tardivamente e, quel che è peggio,
in larga parte sperperate per la carenza assoluta di una gestione
razionale ed oculata.
Se fosse la prima volta che ciò accade, nonostante il dovuto biasimo
(quando si parla di vite umane, nessuno sbaglio può essere
contemplabile), potremmo quasi giustificarlo con il vecchio argomento
delle difficoltà contingenti e della delicatezza della situazione.
Ma quante volte abbiamo visto ripetersi problemi analoghi ed interventi
inutili e "schizofrenici", in un’Africa che sta morendo e non ha più il
tempo per permettersi il lusso dell’inefficienza, sia pure in buona fede
?
Sembra quasi che si tratti di una caratteristica congenita di una certa
cooperazione, che deve trovare la forza, senza ulteriori tentennamenti,
di rifondare se stessa su basi radicalmente nuove.
Perché errare è umano, ma perseverare è diabolico.
Anche nel caso del Sudan, mentre l’apporto dei professionisti dell’aiuto
umanitario è stato prima nullo e poi caotico, nel tentativo coraggioso
di tamponare la situazione la parte del leone è stata fatta da una
società civile laboriosa ed umile, che per prima e nell’assordante
silenzio generale, come "voce di uno che grida nel deserto", ha con
forza denunciato la tragedia che si stava consumando ed ha cercato,
ancor prima di parlare, di agire.
Ci viene in mente in primo luogo l’opera instancabile dei tanti ordini
religiosi che in prima linea, senza chiedere nulla in cambio e spesso a
costo della vita, dedicano all’Africa ed alle sue sofferenze l’impegno
insostituibile di un’intera esistenza. Tra essi, basti ricordare a puro
titolo esemplificativo l’opera incessante dei Padri Bianchi, veri angeli
per il Continente africano, ed i Camilliani, che continuano con coraggio
a richiamare l’attenzione sul dramma del Sudan in tutti i suoi tragici
aspetti.
Insieme ad essi, un intero mondo di volontariato silenzioso continua ad
operare nell’ombra, senza cercare nemmeno quel plauso che pur
meriterebbe.
Parliamo del Rotary International e dei suoi progetti in Africa: di
formazione professionale, di creazione di aree irrigue nel Sahara, di
eradicazione della poliomielite.
Parliamo delle comunità italiane in Africa che, nelle loro molteplici
forme associative, danno il loro attivo contributo allo sviluppo del
continente che le ospita in ogni campo della vita comune.
Parliamo di finanza etica. Parliamo di cooperazione "allargata".
Parliamo, in una parola e come sempre, di "Continente Solidale": un’idea
ambiziosa che è un punto di arrivo a cui già mirano, nelle loro opere e
con la forza dei fatti, tanti uomini di buona volontà.
Ad essi dovrebbero ispirarsi tutti quegli organismi che, in maniera
istituzionale, si occupano di Sudan, di Africa, di cooperazione.
Ad essi dovrebbe volgere gli occhi, all’unisono, un Occidente che invece
resta cieco ed immobile di fronte al consumarsi della più immane
tragedia del nostro tempo.