Le ombre che avvolgono il CGIE (4 gennaio 2005)
Profonda tristezza: solo profonda tristezza è il sentimento che ci
pervade dopo la lettura di alcune e-mails. Da un lato, la tragica fine
toccata ad un consigliere; dall’altro, la restrizione di libertà subita
da un membro del Consiglio di Presidenza del CGIE con una infamante
accusa.
Sulla prima, drammatica vicenda, non può esservi purtroppo molto da
dire. Come si può, infatti, pretendere di capire, commentare un gesto
così terribile, così tragico?
È di fronte a casi estremi che riusciamo a percepire la fragilità della
natura umana. Una fragilità che rappresenta per tutti un tallone
d’Achille pronto a cedere, a tradirci quando più che mai avremmo bisogno
di essere forti.
Altro non si può dire, e non si può commentare o giudicare; “quando
guardi dentro l’abisso, l’abisso guarda in te”. E di fronte a
quell’abisso di tenebra possiamo soltanto alzare le braccia, impotenti,
totalmente incapaci di qualsiasi iniziativa davanti ad una disperazione
troppo grande anche solo per essere compresa.
Ma se nulla possiamo per dare un senso a quell’ultimo tragico atto, né
per trovarvi un significato che ci metta l’animo in pace, possiamo
tuttavia ricordare i tanti momenti condivisi.
Quanto alla seconda vicenda: giova ricordare la presunzione d’innocenza
fino a sentenza definitiva, e questo vale per chiunque.
Tuttavia, se è vero che non si può prescindere da tale presunzione, è
pur vero che esiste un problema morale che, come ogni elemento etico, va
al di là dell’aspetto giuridico e quindi anche della stessa presunzione
di innocenza.
Francamente, io non credo che i tanti anni passati nel CGIE, le
passionali battaglie, l’impegno costante per la causa degli Italiani nel
mondo possano lasciare dubbi di sorta.
E’ una convinzione, questa, che scaturisce dall’esperienza comune,
maturata all’interno di un consesso che è, giova ricordarlo, niente di
più e niente di meno che volontariato. Solo questo è il CGIE. E’
cooperazione, nel senso più vero del termine: un’attività faticosa che
dà molti oneri e ben pochi onori. Chi né fa parte non è spinto da
prospettive di carriera, ma soltanto dalla certezza di fornire il
proprio contributo ad una causa che, ove necessario, merita anche dei
sacrifici.
Ma sono sacrifici che abbiamo sempre affrontato volentieri, con la
sicurezza testarda di chi sa di essere dalla parte giusta. Una sicurezza
trasmessaci da quegli Italiani che, tra mille difficoltà, hanno saputo
restare tali ed essere una “nazione” viva, operativa, portatrice di
valori e civiltà. E’ la loro forza, la loro capacità di superare i mille
problemi di una quotidianità spesso difficile in Paesi lontani e
disagiati che ogni giorno dà anche a noi, nel compito prestigioso e
difficile di rappresentarli, la spinta per andare avanti.
L’azione del CGIE non può che essere altamente morale, perché è ispirata
unicamente da quei valori, di rispetto e solidarietà, che ovunque nel
mondo sono stati diffusi dai nostri connazionali, alla cui tutela è
unicamente rivolto il nostro impegno.
Alla luce di tutto questo, la mia convinzione resta ferma anche nella
presente, delicata situazione: chi fa del bene, difficilmente è capace
di fare anche del male. Perché l’elemento etico non può essere isolato a
seconda del contesto, e modella l’intera vita di un uomo, influenzandola
nel suo complesso.
È una conclusione confermata dal tempo e dall’esperienza spesa
nell’associazionismo, nel volontariato, nel CGIE. Attività che costano,
è vero, fatica e sacrifici, ma che danno in cambio una ricchezza
ineguagliabile sul piano umano.
Forse mi voglio illudere? Ebbene sì: voglio illudermi. E sono più che
certo che sarà l’interessato stesso a chiarire, con i colleghi ancor
prima che in altre sedi, la propria totale estraneità ai fatti
contestati.