Italiani e solidarietà: la conferma di una vocazione (10 gennaio
2005)
Negli ultimi giorni dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle, abbiamo
visto immagini che mai avremmo voluto vedere : testimoni di un
cataclisma epocale, che ha distrutto migliaia di vite umane, un lutto di
enorme portata.
La natura, con la sua furia, ci ha ricordato tutta la nostra fragilità,
che troppo spesso dimentichiamo.
Il dolore, unico sentimento impresso nel cuore di chi ha visto, è stato
amplificato dalle festività in cui si è andato di colpo ad abbattere:
uno stridente contrasto tra ciò che è stato e ciò che sarebbe dovuto
essere: tra le luci, i colori, gli addobbi della festa e la morte, il
dolore e la disperazione di chi ha perso tutto in un momento, quasi si
trattasse di una spietata roulette russa.
In queste circostanze, forse sarebbe stato ancora più facile del solito
nascondere la testa sotto la sabbia, ed ignorare questa catastrofe che,
per quanto immensa, è accaduta dopo tutto dall’altra parte del globo.
Forse sarebbe stato ancor più facile del solito continuare a
festeggiare, come se nulla fosse avvenuto, voltando le spalle a questa
immane tragedia.
Così non è stato, e lo diciamo con orgoglio. Perché l’immediata
risposta, solidale ed efficiente, che da ogni parte del mondo (o quasi)
si è sollevata di fronte alla disperata richiesta d’aiuto di chi ha
visto sconvolta la propria vita in un attimo, se già di per sé lodevole
e significativa, ha assunto un fulgore nuovo inserita nel contesto delle
festività natalizie.
È una risposta che non proviene soltanto dalle Istituzioni, ma da
un’intera società civile che ha mostrato tutto il suo valore e le sue
immense potenzialità.
Si tratta di una reazione che dà speranza: forse c’è ancora posto a
questo mondo per valori che spesso sembrano essere scomparsi, e per un
futuro migliore anche per chi ha perso la voglia di credervi.
Anche l’ONU, la cui stella sembrava ormai appannata e la cui crisi di
credibilità non lasciava presagire nulla di buono, ha saputo intervenire
in questo delicato momento, accettando l’onere morale di essere sintesi
delle numerose e pronte reazioni di tutti i Paesi. Non solo: l’appello
diretto al Presidente degli Stati Uniti è un importantissimo segnale di
distensione, dopo i recenti screzi ed incomprensioni, portatore senza
dubbio di sviluppi positivi. Nel contesto, Kofi Annan potrebbe vedersi
confermato quale Segretario Generale.
In questa catena di solidarietà, che immediatamente e spontaneamente si
è sviluppata dal momento del disastro, brilla di luce propria l’Italia,
e la parte che essa ha ricoperto e ricopre tuttora nel delicato compito
di coordinare gli aiuti dell’Unione Europea.
Bene ha fatto il nostro Governo a nominare un Comitato ristretto, di
alto profilo, garante della migliore destinazione delle somme raccolte:
pudore vorrebbe che in un cataclisma epocale di tale portata tutti
seguissero un simile esempio, e che venissero meno gli "appetiti" dei
potentati locali.
È giustificabile la soddisfazione del Ministro degli Esteri Fini, per un
ruolo di primo piano che non è soltanto un riconoscimento formale, ma
che sottolinea una vocazione dell’Italia e degli italiani. Sempre
pronti, quando c’è bisogno di fare del bene a chi si trovi in
difficoltà, a fare la loro parte nel migliore dei modi.
Sempre pronti a dare il proprio contributo, senza risparmiarsi.
È una grandezza morale che da sempre è presente, e rifulge,
nell’associazionismo, nel volontariato, nella società civile italiana:
un’immensa forza, portatrice di solidarietà e testimone di civiltà, che
ha sempre fatto tanto ovunque vi fosse bisogno.
È una caratteristica del nostro dna, che ci segue ovunque ed in
qualunque situazione concreta: è da essa che nasce l’unicità di quel
fenomeno difficilmente inquadrabile che è l’ "italianità", cui pure si è
rivolta in questa drammatica situazione l’appello accorato del Ministro
per gli Italiani nel Mondo.
I fatti sono testimoni molto più efficaci delle parole. Le raccolte di
fondi; la mobilitazione immediata anche delle associazioni di service;
la prova di civiltà data da amministratori pubblici e cittadini nel
limitare i festeggiamenti per il nuovo anno, in segno di lutto e
destinando in beneficenza gran parte dei fondi previsti per concerti e
fuochi d’artificio.
Sono segnali di grande sensibilità che, scaturiti dal dramma odierno,
danno un significato reale e profondo ad un Natale troppo spesso ridotto
a folklore.
Ma se la risposta alla tragedia del Sudest Asiatico, reclamata a gran
voce da istituzioni e media mobilitati al meglio delle loro possibilità,
ha mostrato tutte le potenzialità di una solidarietà che non è assente
ma solo quiescente, dobbiamo trarne un incitamento per andare avanti
sulla nostra strada. Una strada tortuosa, fatta di sensibilizzazione
verso i drammi che ancora numerosi affliggono il nostro mondo, fatta di
sferzate ad Istituzioni che tendono ad adagiarsi e a risolvere tutto con
un’alzata di spalle. Una strada che spesso ci fa sentire "voce di uno
che grida nel deserto".
Ma è anche l’unica strada che onestamente ci è dato scegliere, se
vogliamo abbandonare le nostre ipocrisie e guardare in faccia senza
paura un mondo che per tre quarti è ben diverso da quello edulcorato cui
siamo abituati.
Questa vicenda ci mostra chiaramente che abbiamo le possibilità e le
potenzialità per fare la differenza. In primo luogo come italiani, il
cui retaggio storico ci porta una vocazione innata per la solidarietà
internazionale.
Resta da vedere se avremo la forza di volontà di seguire questa traccia.
Perché se il dramma del Sudest Asiatico è stato imposto alla nostra
attenzione dalla risonanza mediatica che lo ha circondato, ve ne sono
molti altri che si consumano nel silenzio, pur essendo degni di
altrettanta attenzione.
Parliamo della guerra civile in Somalia che va avanti da oltre dieci
anni. Parliamo di un Sudafrica flagellato dall’AIDS. Parliamo di un
inarrestabile processo di desertificazione che coinvolge il Nord-Africa
profondo. Parliamo di un Sudan ove il genocidio è ancora all’ordine del
giorno.
Parliamo di un intero Continente, l’Africa, che rischia di scomparire. E
di bambini i cui occhi, innocenti e troppo grandi per corpi affamati e
disidratati, continuano ad essere un’implacabile accusa. Ed un eterno
monito contro un’indifferenza che non deve, nel terzo millennio,
continuare a trovare spazio.