Interventi

Sudan, siamo vicini alla pace? Una speranza, una possibilità, un augurio (13 gennaio 2005)

L' accordo di pace siglato in Sudan fra fazioni in lotta ventennale viene accompagnato dall'augurio che ritorni finalmente la pace in quel disperato Paese, il più grande dell'Africa, travagliato da una guerra che è insieme religiosa, musulmani da una parte, cristiani ed animisti dall'altra, e razziale, arabi da una parte, niloti o negri dall'altra, e che esso possa essere di esempio a tanti altri Paesi africani che il processo di decolonizzazione ha lasciato in analoghe condizioni di conflitti latenti.
Dall'accordo di pace è rimasto fuori il Darfur: in quella regione si continua a morire, di fame, di sete, di violenze e ci si può domandare che prospettive di vita abbia chi riesce a sopravvivere.
Tuttavia l'inizio di un processo di pace non può che essere salutato con entusiasmo, nella speranza che esso costituisca un seme capace di crescere lentamente se opportunamente alimentato.
Esso dovrà essere accompagnato da una certa dose di cinismo: non vi è dubbio che l'odio alimentato da anni di lotte non può essere cancellato da una accordo, ma far intravedere i reciproci vantaggi di una convivenza pacifica, adeguatamente condizionata da un oculato piano di sviluppo e di aiuti da parte della comunità internazionale, concordato con le autorità locali sotto la supervisione onusiana, in grado di evitare corruzione e speculazione, capace di far arrivare le risorse messe a disposizione direttamente alle popolazioni, può indurre i signori della guerra a riflettere sulla circostanza che il potere si può gestire anche attraverso i benefici della pace.
E se questo seme germoglia, se si riescono ad imbrigliare le forze che fanno leva sul fanatismo, se i benefici della convivenza cominceranno a farsi vedere, un grande percorso sarà stato compiuto.
Imbrigliare il fanatismo, sottolineare i benefici della convivenza: sembrano due concetti semplici, eppure essi evocano il tormento dell'Africa.
Nazioni sconvolte da continui rivolgimenti interni, popolazioni in fuga, milioni di profughi, malattie e fame che fanno strage, mentre si dilapidano le risorse necessarie ad affrontare tali problemi per mantenere apparati militari che spesso non sono altro che milizie personali del dittatore di turno.
La tragedia del Sud-Est asiatico, con i suoi duecentomila morti ha sconvolto, come era giusto, il mondo, perfino l'ONU ha battuto un colpo per dire che esiste.
Duecentomila sono i bambini che ogni sei mesi muoiono di fame e di malattia in Africa, eppure nessuno è sconvolto. Alla sofferenza dell'Africa il mondo ha fatto l'abitudine, non fa più notizia: questa è la tragedia.
Imbrigliare il fanatismo non può che continuare ad esser un obiettivo primario di ogni iniziativa politica.
Un'altra luce di speranza si accende nell'attesa dei prossimi eventi in Medio Oriente ove il passaggio di poteri recentemente avvenuto nell'ambito dell'Autorità palestinese e l'atteggiamento del governo israeliano sembrano offrire più che nel passato opportunità favorevoli ad una discussione pacata su una possibile convivenza fra israeliani e palestinesi.
La dinamizzazione impressa dal Ministro degli Esteri Fini alla iniziativa politica in quella regione, che ormai da più di cinquant'anni è punto focale e pretesto per ogni fanatismo, è un chiaro segno dell'importanza che il nostro Paese annette alla pacificazione di quell'area ed alle inevitabili conseguenze che un eventuale accordo fra Israele e Palestinesi avrà in numerosi conflitti tuttora in corso.
Il percorso verso la pace è sempre difficile, poiché esso deve fare i conti non solo con la ragione ma anche con i sentimenti: gestire questi ultimi dopo anni di sofferenza e di sopraffazione, dopo anni di educazione all'intolleranza, diventa un'opera titanica.
L'augurio, la speranza è che il nostro tempo sappia produrre uomini di Stato capaci di percorrere fino al termine tale cammino.

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