Ricordo di un eroe (7 marzo 2005)
Il popolo italiano piange oggi un eroe, la famiglia un marito ed un
padre amato, lo Stato un funzionario fedele, capace, intraprendente,
coraggioso. Altri sicuramente rimangono e continuano a lavorare con fede
e dedizione in quello sfortunato Paese che sta cercando con ostinazione
e sacrificio, come i recenti risultati delle elezioni hanno messo in
luce, di uscire dalla palude del terrorismo, di soffocare la rabbia di
chi soffia sul fuoco dell'estremismo per vendicarsi della perdita del
potere assoluto di vita e di morte, applicata con feroce freddezza, come
la gassificazione dei curdi ed il massacro di centinaia di migliaia di
sciiti ben ricordano.
Questi servitori dello Stato lavorano nell'ombra, imparano a conoscere
ambienti e persone, concorrono con pazienza e sagacia a tessere quella
rete di conoscenze che consentirà alle legittime istituzioni irachene,
espresse dopo decenni con un voto, di ristabilire la propria autorità e
di riassumere il pieno controllo del Paese.
Hanno dimostrato in più occasioni di sapersi muovere, di svolgere il
loro lavoro con certosina pazienza, nell'ombra e nel silenzio, spesso,
troppo spesso, in solitudine. La loro opera non sarà mai conosciuta,
nessuno saprà mai quanto si deve al loro lavoro: solo la morte li fa
conoscere, solo allora si riconosce e si piange quanto si è perduto.
Anch'essi come missionari: devono guadagnare e meritare fiducia prima di
poter iniziare a svolgere la loro azione con la calma dei forti e la
fede nei valori. Ai missionari è capitato di vedere riconosciuta la
validità della loro azione, recentemente anche da vasti strati della
società civile, grazie alla iniziativa del Ministro Mirko Tremaglia che
li ha chiamati a Roma in Convegno. Chissà se il nostro Paese riuscirà a
trovare il modo di rivolgere un pensiero riconoscente anche alle decine
di servitori dello Stato che operano per salvaguardare il lavoro di
nostri connazionali (e sono, sarà bene non dimenticarlo, migliaia)
coinvolti in attività di soccorso, di assistenza, di informazione, di
polizia fuori dei confini nazionali.
Chi ha vissuto in Paesi dove il terrorismo alimentato dall'estremismo
religioso ha massicciamente condizionato, nel passato ed in minor misura
ancora oggi, ogni aspetto della vita quotidiana ricorda con un brivido
l'accendersi improvviso di un faro, le urla dei militari, il dubbio
atroce, il posto di blocco è vero o falso, mi fermo o spingo a fondo
l'acceleratore, le luci interne della macchina sempre accese per
mostrare il proprio volto, e non può non sentirsi emotivamente coinvolto
nelle tragiche vicende di venerdì sera. Vicende tragiche anche per chi
ha sparato, nella presunzione che non si tratti di assassini prezzolati.
Non si può ignorare il disperato terrore di chi preme il grilletto, il
tormento per l'uccisione di un innocente, lo sgomento per la sciagura di
cui si è all'origine. Pochi secondi per prendere una decisione che
tronca una vita e cambia anche la propria esistenza. La dannazione dei
militari è che non possono e non devono sbagliare: i loro errori spesso
non hanno rimedio.
Tante famiglie italiane hanno pagato un pesante tributo di dolore per
restituire pace e libertà ad un popolo martoriato da decenni di
tirannia, di torture, di massacri, di sofferenza, oggi come ieri
altrove, domani chissà dove, l'affetto ed il ricordo di tutti noi
saranno sempre compagni delle loro giornate.
Lasciamole piangere i loro cari senza terribili strumentalizzazioni :
facciamo sì che prevalga, sempre e comunque, l'etica del cuore.