Riforma dell'ONU: il tempo stringe (8 marzo 2005)
Ha avuto inizio, al Palazzo di Vetro, la controffensiva diplomatica
dell’Italia per contrastare il progetto di riforma del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu proposto dal cosiddetto G4: Germania, Giappone, India
e Brasile.
L’idea di questi Paesi è quella di portare i seggi permanenti da 5 ad
11, includendo ovviamente anche loro tra i nuovi membri permanenti. Sul
merito di questa proposta, che sinceramente ci appare non solo intrisa
di egoistico opportunismo ma soprattutto antistorica, ci siamo già
pronunciati e sarebbe inutile ripeterci. Qui basti dire che, in un mondo
che oggi più che mai è ombrato da problemi cruciali, dispiace vedere
come ogni Stato si preoccupi esclusivamente del proprio personalissimo
interesse ad un seggio permanente, piuttosto che del bene comune.
La stessa Unione Europea, invece di presentarsi in unità d’intenti, è
dilaniata dagli egoismi nazionali che le impediscono di reclamare con
forza un seggio unico per l’intera Unione, come giustamente proposto,
inizialmente, dall’Italia.
Come possiamo pretendere che l’Onu sia in grado di affrontare e vincere
le grandi sfide di questo nuovo millennio, se non la dotiamo di una
struttura flessibile che tenga conto delle mille sfaccettature del mondo
d’oggi? La presenza di nuovi membri permanenti cristallizzati nella
struttura del Consiglio di Sicurezza non farebbe altro che appesantire
ulteriormente un meccanismo già scricchiolante, facendo emergere ancor
di più gli egoismi nazionali, gli interessi individuali, e dunque
aumentando i punti di frizione in una realtà internazionale che non
appariva più così divisa dal crollo del muro di Berlino.
In questo contesto problematico, la riforma dell’Onu, e dunque il suo
successo o fallimento, potrebbe rappresentare un punto di svolta di
importanza epocale: guai a sbagliare oggi, perché le conseguenze
potrebbero ricadere non solo su di noi, ma sulle generazioni future. La
storia non dovrebbe mai essere dimenticata perché in questa realtà
fatta, come ci insegna il Vico, di “corsi e ricorsi”, è saggio tenere a
mente ciò che il passato ci mostra. Non ignoriamo dunque che quella
diretta antenata dell’Onu, la Società delle Nazioni, è miseramente
fallita lasciandoci cadere nel vortice del secondo conflitto mondiale
anche perché era ormai divenuta null’altro che uno strumento di
pressione politica nelle mani delle grandi potenze, sacrificando a ciò
ogni possibilità di dialogo.
Alla luce di un simile esempio, che dovrebbe essere ricordato più
spesso, la proposta alternativa di riforma lanciata dall’Italia appare
molto più efficace, perché molto più ancorata alla realtà internazionale
ed alle sue esigenze: un solo nuovo seggio in seno al Consiglio di
Sicurezza, da ricoprire a rotazione magari su base regionale, potrebbe
garantire una più ampia visibilità per tutti, e quindi una maggiore
attenzione a problemi drammatici spesso ignorati per lo scarso peso
politico dei Paesi che ne sopportano il fardello, per non dire di un
guadagno in democraticità dell’intero sistema.
Bene sta dunque facendo il nostro diplomatico presso le Nazioni Unite,
che ha già incontrato, assieme ad una delegazione di 26 Paesi che
condividono le idee italiane, il Segretario Generale Kofi Annan per
presentargli il documento “Uniting for Consensus”: in sostanza la nostra
proposta alternativa a quella del G4.
È il momento della diplomazia, che dovrà compiere passi delicati per
cercare di ottenere i migliori risultati possibili, non soltanto per il
nostro Paese, ma per attuare una riforma dell’Onu oggettivamente più
efficace e foriera di positivi sviluppi. In questo quadro, speriamo che
la recente visita in Italia del Presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu
Jean Ping sia stata un’occasione non sprecata per sponsorizzare una
soluzione che appare più aderente alla realtà e maggiormente praticabile
oltre che sensata.
Gli sforzi, a tutti i livelli, devono essere convogliati nella stessa
direzione. Per l’Italia, si tratta di una questione essenziale di
interesse nazionale: se resteremo gli unici tra i grandi a non avere un
seggio permanente in Consiglio di Sicurezza, subiremmo una tragica
perdita di immagine e credibilità, che non tarderebbe a portare effetti
nefasti anche sul piano economico e commerciale.
Forse non tutti hanno ancora preso pienamente coscienza dell’importanza
e della delicatezza del momento: sarebbe ora, francamente, di darci una
svegliata, e di appoggiare in ogni modo gli sforzi delle Istituzioni e
della diplomazia in questa battaglia che rischia di vederci finire come
“gli unici sconfitti della seconda guerra mondiale senza un seggio
permanente”.