Interventi

I morti non si "incassano" (18 marzo 2005)

L'articolo del signor Randazzo apparso di recente (Inform n. 60/B) afferma, fra tesi tutte discutibili, una verità incontrovertibile: la vita umana non ha prezzo.
Non ha prezzo la vita della signora Sgrena, non ha prezzo la vita di Nicola Calipari.
La liberazione della giornalista è stata ottenuta grazie all'impegno di uomini di governo e di funzionari dello Stato che hanno saputo agire con sagacia, intelligenza, senso del dovere e spirito di sacrificio.
Le manifestazioni non possono certo essere definite disonorevoli, ma altamente inutili e certamente dannose, tanto che nei rapimenti che talvolta affliggono alcune zone del nostro Paese la prima azione svolta dal magistrato è quella di imporre il silenzio stampa ed il blocco dei beni della famiglia del sequestrato.
Il lavoro di quanti hanno operato concretamente per la liberazione della signora Sgrena sarebbe stato certamente più agevole se i rapitori non avessero avuto la chiara sensazione dell'alto valore aggiunto attribuito al personaggio dalle manifestazioni della sinistra pacifista e, quindi, del guadagno politico che potevano ricavare dalla sua detenzione.
I terroristi si fanno beffe dei sentimenti, ma li cavalcano e strumentalizzano per conseguire obiettivi politici: è sufficiente rammentare l'impressione suscitata dall'ultimo video trasmesso dai rapitori, quelle immagini di una donna distrutta, piangente, supplicante, terrorizzata, rivivere attraverso quelle tragiche fotografie le condizioni psicologiche ed umane in cui fu ridotta e presentata al mondo la giornalista da uomini, se così si possono chiamare, la cui causa beneficiava della sua simpatia.
Suscita perplessità il resto dell'articolo, ed in particolare il commento relativo all'annuncio del Presidente Berlusconi sulla possibilità dell'inizio di un parziale disimpegno del contingente italiano in Iraq nel prossimo mese di settembre.
L'annuncio viene attribuito a panico elettorale e non ad una normale evoluzione della situazione.
Vivendo a Melbourne forse non ci si rende pienamente conto che da un anno a questa parte un'infinità di cose è cambiata: otto milioni e mezzo di irakeni (i veri resistenti, così li ha definiti l'On. Fassino al recente Congresso dei democratici di Sinistra) hanno votato, si è riunito il Parlamento irakeno uscito per la prima volta nella storia del Paese da elezioni con il crisma della democrazia, è attesa a giorni la formazione di un Governo a larghe intese, cui si stanno avvicinando sia pure timidamente anche formazioni politiche sunnite moderate, sono in via di rifondazione sia la polizia che le Forze armate irakene.
Il contingente italiano, schierato in un'area sciita, attualmente in buona parte pacificata, sta completando il lavoro di ricostruzione delle infrastrutture ed addestrando le Forze di polizia e del ricostituito esercito irakeno, che si prevede possano cominciare ad essere operativamente pronte all'inizio del prossimo mese di settembre.
Appare quindi logico ed evidente che il contingente, Forza di pace e non di occupazione, possa prevedibilmente iniziare il ridispiegamento graduale e concordato entro quella data.
Non si tratta quindi di cedere al panico elettorale o alla "crescente opposizione popolare al coinvolgimento nel dramma irakeno": il dissenso alla partecipazione di soldati italiani al contingente multinazionale di forze di pace è sempre stato forte, la sinistra ha mobilitato centinaia di migliaia di persone, il popolo italiano è sostanzialmente un popolo pacifico.
Nulla è cambiato, quindi, rispetto all'inizio delle operazioni, salvo la situazione sul terreno, che consente un diverso comportamento e la possibilità di nuove scelte al Governo italiano.
D'altra parte un uomo di governo sceglie le linee di politica estera del Paese tenendo conto degli interessi nazionali, delle alleanze tradizionali, dei rapporti fra Stati, della forza e coesione della maggioranza parlamentare che lo sostiene.
Non può certo farsela suggerire da registi cinematografici, girotondini, oceaniche manifestazioni di piazza, tanto care a tutte le forze illiberali, dimentiche che la sovranità, in un Paese libero e democratico, è esercitata dal popolo attraverso il Parlamento (e non bisognerebbe ricordarlo a chi vive in un Paese anglosassone).
L'Italia ha mantenuto fede ai suoi impegni con fermezza, lucida determinazione, linearità, chiarezza. Il governo ha affrontato nelle sedi parlamentari tutte le diverse fasi legate all'approvazione della operazione, sostenuto con coerenza da una maggioranza coesa e convinta.
È stata la prima volta che ciò è avvenuto, tanto da meritare il rispetto degli Alleati.
Sarà opportuno ricordare che all'epoca del terribile incidente del Cermis, nel febbraio del 1998, in cui morirono venti persone, il prestigio del governo italiano, guidato dall'On. Prodi, era talmente modesto, che fu rifiutata ogni richiesta, negata ogni collaborazione ed i responsabili dell'incidente uscirono in pratica indenni.
Ben diverso, anche se è prudente non anticipare conclusioni, è il comportamento odierno delle autorità USA che hanno accolto, per la prima volta nella loro storia, un ufficiale italiano nella commissione di inchiesta che indagherà sugli eventi che hanno portato alla sparatoria contro il convoglio che trasportava la signora Sgrena.
Sarà ancora appropriato ricordare che le operazioni in Albania furono consentite al governo guidato sempre dall'On. Prodi dal senso di responsabilità della opposizione di allora che fornì apertamente il sostegno che parte della sua maggioranza gli negava.
Ed ancora che il governo guidato dall'on d'Alema iniziò operazioni belliche sul suolo serbo, con missioni di bombardamento, definite con lucida ipocrisia "difesa attiva", senza la preventiva autorizzazione del Parlamento, arguendo a giustificazione che esse erano coperte ed ordinate dalla NATO.
Una gigantesca menzogna dell'On. D'Alema, poiché la NATO non dà copertura, ma la riceve dai governi. A differenza del Consiglio di sicurezza dell'ONU dove le decisioni sono assunte a maggioranza qualificata di 9 membri su 15, purché fra loro siano inclusi i membri permanenti, la NATO assume le sue determinazioni alla unanimità: se un governo dice no una operazione non si fa.
I pacifisti, allora su scranni ministeriali, non agirono, i vari Diliberto, Pecoraro Scanio, Minniti, votarono sì all'attacco alla Serbia o avallarono la decisione di un On. D'Alema alla ricerca di consacrazione in campo internazionale, ma non ebbero il coraggio di affrontare il dibattito parlamentare.
E quando finalmente lo fecero fu ancora una volta necessario il determinante sostegno dell'allora opposizione.
Ecco la differenza fra uomini di governo ed omuncoli.
In ogni modo fortunatamente quella decisione fu presa e non fu così consentito a Milosevich di risolvere a modo suo il problema kosovaro, a suon di fosse comuni; fortunatamente fu presa anche la decisione di non permettere più ad un tiranno, Saddam, di massacrare il suo popolo, di imprigionare ed assassinare, di piegare l'opposizione affamando centinaia di migliaia di sciiti con il prosciugamento delle paludi, fonte di vita per quelle popolazioni o di gassificare i curdi.
La cacciata di Saddam ha dato la stura ad una serie di eventi nel mondo medio-orientale che forse nella lontana Australia non si sono pienamente percepiti: la "Road map" tracciata per israeliani e palestinesi sembra finalmente prendere avvio, un milione di libanesi chiede libertà e democrazia, il regime feudale dell'Arabia saudita consente lo svolgimento delle prime elezioni amministrative, in Egitto viene scarcerato un oppositore che si candida contro Mubarak.
Si tratta di segnali, d'accordo, consentiti però da una atmosfera cui la caduta del dittatore irakeno ha dato nuovo respiro.
Le decisioni del governo italiano ed il sacrificio di tanti, troppi, fedeli servitori dello Stato hanno contribuito a dare speranza a popoli disperati, ad avviare un processo di democratizzazione, non importata, ma adattata alle situazioni locali, a restituire dignità a persone che l'avevano perduta.
Il Corriere della Sera, nel fondo del 17 marzo di Galli della Loggia scrive "La sinistra dei buoni sentimenti democratici e pacifici non fa nulla, neppure qualche blanda manifestazione di pubblica simpatia, per appoggiare il fermento democratico che percorre tutto il mondo arabo. Bisogna forse maliziosamente dedurne che l'antiamericanismo può arrivare al punto di far preferire i tiranni agli Stati Uniti?". In maniera diversa è la proposizione dello stesso dubbio agitato dall'On. Fassino nel corso del Congresso diessino quando si chiese "Cosa ha fatto la sinistra per rovesciare Saddam?"
E' l'amara constatazione che la sinistra è una gigantesca forza conservatrice, incapace di promuovere e cogliere i cambiamenti.
Ed infine, signor Randazzo, l'inizio del suo articolo è sconvolgente, un ultimo ripugnante insulto: i servitori dello Stato raccolti nel tricolore nelle 28 bare non sono vile denaro che si "incassa", ma uomini, ricchi di sentimenti e di valori.
In Madrepatria essi non sono stati "incassati", ma rispettati, onorati e soprattutto pianti.

Torna alla pagina precedente