CGIE: modifiche necessarie (12 luglio 2005)
È ormai noto, in primis proprio ai componenti del CGIE, che la legge
istitutiva del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero e successive
modificazioni è ampiamente superata ed obsoleta.
Gli articoli sono posti in successione caotica ed ampiamente in
contraddizione tra loro, per non parlare della ben più grave circostanza
che la legge nel suo insieme appartiene ad un’epoca che non è più, e si
trova su di un piano di completo scollegamento dalla realtà, senza
alcuna attinenza con le tematiche ed i problemi che gli italiani nel
mondo oggi si trovano ad affrontare.
L’attuale ripartizione geografica e per aree continentali prevista dalla
legge non risponde alle esigenze di un’emigrazione italiana sempre in
fermento, che nel corso degli anni ha cambiato forma e contenuto,
evolvendosi sia quantitativamente che qualitativamente in qualcosa di
molto diverso da ciò che il legislatore pensava in origine di dover
disciplinare. Soprattutto, l’attuale normativa non è certo in armonia
con la ripartizione continentale prevista dalla legge elettorale
passiva.
Insomma, l’adeguamento della normativa è senza dubbio una necessità
assoluta: in un Paese che fa della propria tradizione giuridica un
motivo di vanto e che si fregia del titolo di “Stato di diritto”, non è
tollerabile dimenticare sistematicamente le esigenze di una larga fetta
di popolazione, i cui sacrifici tanto hanno contribuito al benessere ed
al prestigio dell’intero “sistema Italia”.
Purtroppo questa necessità non ulteriormente procrastinabile, anche in
vista di una piena efficacia delle ormai prossime elezioni politiche per
quanto riguarda la circoscrizione estero, non sembra interessare il
Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.
Peggio, si tentano estemporanee variazioni sul tema, con l’unico
risultato di aggravare ulteriormente il quadro generale della situazione.
Il CGIE è prima di tutto un organismo propositivo, la cui azione
dovrebbe essere di stimolo e supporto per le Istituzioni, affinché non
ci si perda lungo la strada del sempre più completo riconoscimento delle
necessità degli italiani nel mondo, e della risoluzione degli ancora
troppi problemi che affliggono questa realtà così variegata ed
affascinante.
In questo quadro, ben vengano le proposte di tutti per uscire da una
impasse che rischia di pregiudicare la piena rappresentatività di quanti
si troveranno ad avere l’onore e l’onere di portare le istanze degli
italiani nel mondo, per la prima volta dopo decenni di oblio, in seno al
Parlamento nazionale.
Ma allo stesso tempo, deve essere ben chiaro a tutti che non è
concepibile risolvere in maniera egoistica e particolaristica i problemi
di singole aree penalizzando ulteriormente le altre.
La grande forza degli italiani residenti all’estero, che insieme
all’innata tenacia ci porta oggi ad essere testimoni di questo traguardo
storico del voto politico, è sempre stata l’unità d’intenti al di là di
qualsivoglia colore partitico, e la consapevolezza di dover agire
all’unisono per rivendicare il rispetto dei sacrosanti diritti di una
intera categoria di italiani per troppo tempo trattati da “serie B”.
Mi auguro che una simile consapevolezza non venga mai meno in seno al
CGIE, e che nessuno di noi si faccia tentare dalle menzognere sirene del
particolarismo partitico nazionale.
Diversamente, finiremmo per non accorgerci degli scogli, incagliandoci
irrimediabilmente nella miserevole litigiosità che si addice alle comari
di paese, ma che sarebbe disastrosa per chi è chiamato oggi a farsi
portavoce di milioni di italiani sparsi, quale realtà multiforme e
variegata, in ogni angolo del globo.