Uniti contro la barbarie, per uno sviluppo sostenibile (13 luglio
2005)
Di nuovo, il terrorismo internazionale non ha esitato a colpire al cuore
un’Europa che sembra incapace di reagire. Dopo l’attacco a Madrid
dell’11 Marzo 2004, che già aveva frantumato la fragile utopia della
sicurezza europea, questo nuovo esempio di barbarie medioevale ridesta
la nostra consapevolezza di essere nel bel mezzo di una guerra.
È una guerra diversa da qualunque altra contro cui l’uomo si sia mai
confrontato in precedenza: non ci sono campi di battaglia, eserciti,
strategie chiare ed obiettivi precisi. C’è piuttosto lo schizofrenico
modus operandi di chi vigliaccamente colpisce civili inermi: innocenti
la cui unica colpa è di uscire di casa per andare a lavorare. Lo scopo,
lo sappiamo, è di creare panico, caos, una paura continua che paralizzi
il nostro pensiero e la nostra reazione, per lasciarci inebetiti a
subire il prossimo attacco.
Il momento per sferrare il colpo è stato scelto con cura: uno degli
ultimi giorni di lavori del G-8 che si è riunito a Gleneagles, in Scozia,
per discutere in primo luogo di povertà e di Africa e per trovare nuovi
mezzi per combattere una miseria che non può più trovare spazio nel
nostro mondo del terzo millennio. La coincidenza non è certo stata
casuale, e ci dà conferma del fatto che l’impegno dei Grandi finalmente
si sta indirizzando nella giusta direzione: dalla cancellazione del
debito al ripensamento di forme più efficienti di cooperazione, l’imperativo
è far uscire i Paesi poveri dal baratro della povertà senza alcun
ulteriore indugio.
Il fondamentalismo ha colpito Londra con crudeltà anche per bloccare e
boicottare i lavori di un Occidente che finalmente, dopo l’infelice
parentesi della crisi irachena, comincia a riacquistare unità di vedute
e d’intenti e mostra la ferma volontà di intraprendere con coraggio un
percorso arduo ed ancora lungo. Ma se questa era la speranza dei
terroristi, possiamo dire con orgoglio che l’obiettivo è stato mancato:
il G-8 è infatti andato avanti secondo programma, segno importante di un
impegno che non si lascia intaccare neanche da quella strategia del
terrore che usa le bombe come unica forma di negoziato. Adesso, l’intero
mondo civile dovrà raccogliere le forze e trovare nuovi sistemi per
combattere una guerra al terrorismo che si conferma difficile e
drammaticamente alle porte. Quella sinergia profonda che si era creata
subito dopo l’11 Settembre 2001, dovrà ripetersi centuplicata oggi, dopo
la frattura che la guerra in Iraq ha causato all’interno del fronte
Occidentale, e di cui Madrid e Londra hanno pagato le conseguenze.
Inutile nascondersi dietro un dito: non è giustificabile l’aver
trasformato un comprensibile dissenso in un sostanziale disimpegno dalla
lotta al terrorismo. Dal 2003 ad oggi, in Europa l’elaborazione di
strategie efficaci si è concretizzata in molte chiacchiere ma ben pochi
fatti. Urge un cambiamento di rotta: senza voler entrare nel merito
delle scelte concrete. L’Europa può anche decidere di fare qualcosa di
diverso dall’America, ma senza dubbio deve fare qualcosa: diversamente
sarà un suicidio, e non solo politico. Guai a pensare, poi, che
l’ineludibile e prioritario impegno nella lotta contro il terrorismo
debba necessariamente significare accantonamento, pur momentaneo, di
ogni altro dramma che affligge l’umanità, in primis la povertà di
un’Africa che sta morendo, da parte dei Paesi occidentali. Sarebbe un
imperdonabile errore, e vorrebbe dire che la nostra miopia sta andando
ben al di là dei limiti.
Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che proprio nella miseria di
interi Paesi dove persino l’acqua è ormai un bene di lusso e dove i
bambini muoiono senza un perché il terrorismo ed ogni peggiore
fondamentalismo trovano terreno fertile per attecchire e fare proseliti,
per espandersi a macchia d’olio come un cancro e poter così sferrare i
loro mortali colpi all’Occidente. Nel nuovo mondo globale, in cui i
cambiamenti sono sempre epocali e si susseguono a ritmi vertiginosi, la
sfida sta proprio nel comprendere che i problemi ed i drammi di interi
popoli che ci circondano non possono restarci estranei: sono problemi
che ci riguardano in prima persona e che, ove ignorati con ottusa
indifferenza, causeranno conseguenze catastrofiche di cui dovremo per
primi subire l’impatto.
Ecco dunque l’importanza di questo G-8 che non si è lasciato fermare
dalle bombe dei fanatici. Ecco dunque l’importanza di una cooperazione
allo sviluppo che è in fermento, e che necessita di essere ripensata e
riformata senza indugio per non ripetere i drammatici errori del passato,
e per impedire che ogni sforzo economico finisca disperso ed inutilmente
sprecato. Dunque nuove tecnologie, dunque nuovi impianti, dunque nuovo
sviluppo, cioè nuovi posti di lavoro: in definitiva più occupazione e
meno miseria, la condivisione e la ridistribuzione di tecnologie genera
comunque cultura, e dove c’è cultura non può esserci contrapposizione
violenta, ma civile confronto e dunque civile convivenza.
Il Ministro degli Esteri Gianfranco Fini, ancor prima che i tragici
fatti di Londra ridestassero la consapevolezza di tutti sull’attualità
della minaccia, ha richiamato l’impegno dell’Italia per una politica più
equilibrata, e dunque non sbilanciata verso i Paesi dell’Est Europeo, ma
meglio orientata verso il suo sbocco naturale: il bacino del
Mediterraneo, e cioè la sponda sud, e cioè l’Africa ed il Medio Oriente.
La strada è dunque tracciata, e la direzione è chiara: resta solo da
trovare la forza di percorrerla fino in fondo, sena mai voltarsi
indietro, e ricordando ciò che era solito dire Benjamin Disraeli: “Never
complain, never explain”.