Polemiche, a beneficio di chi? (12 settembre 2005)
In queste settimane di vacanze agostane la lettura delle agenzie di
stampa ha spesso offerto spunti di perplessità.
La ricchezza di “vis polemica” fra diversi attori che per taluni versi
fanno riferimento ai connazionali all’estero appare davvero sopra le
righe.
Si sono visti i canadesi l’uno contro l’altro armati sui problemi di RAI
International, personaggi appartenenti al centro-destra riuscire a
litigare su Marcinelle, Randazzo, Presidente della Commissione
Informazione del CGIE, accusare di razzismo la seconda carica dello
Stato, il Presidente del Senato Pera, per il suo intervento al Convegno
di Comunione e Liberazione, difeso invece, in un editoriale del Corriere
della Sera, da Ostellino, anche lui giornalista, per l’alto contenuto
intellettuale e liberale in difesa dell’individuo.
Viene da chiedersi quanto queste polemiche coinvolgano e suscitino
l’interesse delle comunità e quanto esse non siano che un misero
tentativo per guadagnare visibilità fra militanti, già ampiamente
inquadrati, in vista della prossima tornata elettorale, in un contesto
generale che fin da ora appare demotivato, scarsamente informato, per
nulla spinto a lasciarsi coinvolgere dalle vicende politiche nazionali.
Padre Tassello con il consueto acume colpisce come sempre nel segno
quando afferma che “ la sfida più importante consiste nel sensibilizzare
le persone sull’importanza del voto nelle elezioni politiche, partendo
con una campagna straordinaria sulle modalità dell’esercizio di voto e
sulla pratica della democrazia. La scheda elettorale inviata non è una
meteora caduta dal cielo, ma uno strumento indispensabile per dare avvio
ad una stagione nuova nell’ambito della politica migratoria”.
Egli ripropone uno schema al cui centro emergono gli elettori, le
comunità all’estero, l’informazione, la cultura ed il coinvolgimento.
Ma la sua voce appare cadere nel vuoto, il suo appello sembra
inascoltato.
Il voto degli italiani all’estero è diventato per i più una pura
formalità, legata ad una verifica dell’aggiornamento delle liste
elettorali e non un esercizio di democrazia attraverso il quale i
connazionali indicano le persone che ritengono più adeguate a
rappresentare nel Parlamento nazionale i loro interessi.
Sarebbe stato necessario nel passato, è urgente ora quel gigantesco
sforzo di coinvolgimento, un fatto culturale di straordinaria rilevanza
da sviluppare in maniera autonoma all’interno delle comunità, con
convegni, dibattiti in cui emergano le aspettative, le esigenze, in cui
esse vengano legate alla realtà del nostro Paese e non alla demagogia
più sfrenata.
Una responsabilità, un compito gravoso, certo, che i Comites in
particolare avrebbero dovuto sentire come propri e pretendere di
esercitare, penetrare nel profondo delle comunità, risvegliare
consapevolezza ed interesse.
Quattro tornate elettorali, con una percentuale media dei votanti che
non ha quasi mai superato il 30%, avrebbero dovuto suggerire che più
delle anagrafi dovevano essere aggiornate e risvegliate le coscienze.
Sul coinvolgimento, sull’informazione si sarebbero dovuto impegnare
risorse importanti, non 6.000.000 di euro sull’indagine mailing.
Il CGIE ha la grave responsabilità di aver accettato di trasformare un
problema sostanzialmente politico in uno esclusivamente amministrativo e
gestionale.
Cosa si è fatto invece per coinvolgere quel settanta per cento circa di
astenuti, per dare soluzione ad un gravissimo problema di fondo
culturale e politico?
Appare del tutto evidente, dopo quattro tornate elettorali, che se un
elettore è interessato ad esercitare i suoi diritti, si sente coinvolto
nelle vicende della comunità, segue le vicende politiche nazionali e si
accorge di non essere stato chiamato a votare farà di tutto per far
cessare tale anomalia.
La risposta alla domanda di prima è dunque una sola: praticamente nulla.
A questo punto non resta che chiedere chi trae giovamento da una
situazione di tal genere.
La risposta è ovvia: i già eletti nei vari organismi rappresentativi
della emigrazione, il CGIE in particolare, coloro che possono contare su
un voto inquadrato, militante e sicuro. Essere eletti al Parlamento
nazionale con il 16% dei voti o poco più degli iscritti non toglie
nessuno dei vantaggi e privilegi che l’ambita carica assicura.
È la parola d’ordine di ogni speculatore a proposito di denari (applicabile
anche ai voti): pochi, maledetti e subito.
Tuttavia una tale situazione non dovrebbe essere tollerata da un
Ministro che si richiama agli Italiani nel Mondo, che ha il grande
merito di aver dedicato ogni sua energia all’approvazione della legge
per il voto in loco delle comunità all’estero. Tale meritoria e
fondamentale conquista rimane tuttavia priva di significato vero se non
è accompagnata anche da una gigantesca azione di coinvolgimento,
attraverso tutte le fonti di informazione disponibili, degli aventi
diritto al voto, di tutti gli aventi diritto, in modo che anche
l’astensione sia un atto cosciente.
Un editoriale a firma di Tobia Bassanelli comparso qualche giorno fa è
aspramente critico nei confronti di una recente iniziativa del Ministro
Tremaglia, che null’altro propone se non mettersi all’ascolto (e non è
un fatto comune a personaggi di quel livello) e di essere pronto a
ricevere chiunque abbia idee da esporre.
Un dato di fatto è innegabile: gli Italiani nel mondo sono sempre stati
un pensiero costante di Tremaglia, i partiti se ne stanno realmente
accorgendo adesso, sentendo odore di voti.
L’iniziativa comunque sembra volta a trascinare il maggior numero
possibile di organizzazioni nella sensibilizzazione verso il prossimo
confronto elettorale: ciò non può che facilitare l’azione dei partiti
che trovano sensibilità già vive e pronte a ricevere i diversi messaggi
politici.
È una iniziativa che la CNE avrebbe dovuto sponsorizzare ed accompagnare
proprio per consentire il massimo coinvolgimento dei connazionali
all’estero.
Il ritardo accumulato è grande, lo sforzo necessario davvero imponente,
l’onestà intellettuale doverosa, le risorse necessarie notevoli:
tuttavia, come giustamente affermava un Consigliere nell’ultima riunione
del CGIE, esse non hanno mai costituito una difficoltà a fronte di fatti
elettorali ed il Ministro si dovrebbe fare carico di renderle
disponibili.
L’augurio di fondo è che siano le comunità all’estero, nella loro
completezza, a decidere, prima delle prossime elezioni, programmi,
scelte, candidature, pur nella giusta contrapposizione di posizioni e
non le segreterie nazionali dei partiti.