Banca mondiale: qualcosa si muove (30 settembre 2005)
In questi mesi, qualcosa sembra muoversi nella giusta direzione in seno
alla Banca Mondiale: quell’istituzione internazionale che pur avendo la
nobile missione di combattere la povertà del pianeta ha ottenuto ben
pochi risultati in 60 anni di attività.
Nessuno ha dimenticato l’infausto epilogo toccato a quel fiore
all’occhiello della Banca Mondiale che era l’Argentina. Finalmente anche
questa importante realtà comincia a scuotersi dal sonno imperturbabile
che lo ha attanagliato per oltre mezzo secolo, e a compiere i primi
passi lungo l’impervia strada della lotta alla fame nel mondo.
Questa ripresa dello spirito che aveva animato i padri fondatori della
Banca Mondiale coincide con la nomina di Paul Wolfowitz a Presidente
dell’istituzione. Quello che fino a non molto tempo fa era considerato
soltanto l’architetto della guerra in Iraq, come vice del Ministro della
Difesa Donald Rumsfeld, e colui che aveva disegnato la caduta del regime
di Saddam Hussein, è riuscito a stupire anche i più scettici. Come del
resto è rimasto stupito chi temeva che Wolfowitz avrebbe piegato gli
scopi della Banca alle necessità politiche dell’amministrazione Bush:
nell’ultimo incontro della Banca Mondiale e del Fondo Monetario
Internazionale tenutosi a Washington la settimana scorsa, il “falco” dei
conservatori ha svolto un ruolo essenziale nel far accettare alla Casa
Bianca la cancellazione di 40 miliardi di debiti di alcuni tra i Paesi
più poveri del mondo.
Non solo: Wolfowitz ha sostenuto di essere dalla parte dei cinquantamila
giovani che guidati da Nelson Mandela, fuori dal vertice del G8 in
Scozia a Luglio, chiedevano di “rendere storia la povertà”. Ha
sottolineato che la priorità deve restare l’Africa, ed ha chiesto un
aumento sostanziale degli aiuti allo sviluppo.
Del resto, la buona volontà e lo spirito d’iniziativa del nuovo
Presidente della Banca Mondiale non si sono fermati alle dichiarazioni
ufficiali. Lentamente, ma inesorabilmente, Wolfowitz ha cominciato a
modificare le priorità dell’istituzione e, di conseguenza, il suo modus
operandi. Prima di tutto, vuole mettere un freno ai grandi progetti, che
rendono moltissimo in termini di visibilità ma ben poco in termini di
aiuto concreto allo sviluppo: il nuovo obiettivo sarà la realizzazione
di interventi locali, più piccoli ma mirati, magari condotti insieme a
partner privati al fine di dare una scossa dalla base alle economie più
disastrate, soprattutto africane.
Come non ricordare, a questo proposito, i tanti progetti condotti con
sacrificio e abnegazione dal variegato mondo dell’associazionismo,
finora lasciato da solo a combattere sul campo il dramma umano di un
Continente in agonia?
Questo giro di boa della Banca Mondiale apre la porta a soluzioni nuove,
e ci dà la speranza di vedere finalmente un importante Ente
internazionale lavorare fianco a fianco insieme al mondo
dell’associazionismo privato, per camminare nella stessa direzione lungo
la strada dello sviluppo sostenibile e per la costruzione di una realtà
migliore per le generazioni che verranno.
Il nuovo Presidente ha finalmente spiegato a chiare note ai demotivati
dirigenti della Banca che le novità non vanno cercate in nuove “visioni”
maturate negli uffici di Washington, ma nella determinazione che molti
leader africani stanno dimostrando “nel combattere la corruzione” e nel
creare un entroterra favorevole alla crescita dell’economia.
C’è un’opportunità sul campo, dice il neo-conservatore dell’Iraq, ed è a
questa che la Banca Mondiale dovrà rispondere.
Gli oltre settemila burocrati che oggi siedono dietro una scrivania a
Washington, ha detto Wolfowitz, si preparino a rimboccarsi le maniche ed
a partire per dove serve: il sentiero del denaro investito andrà
monitorato e seguito passo per passo.
Parola di “falco”.