Associazionismo e partiti politici (14 novembre 2005)
In vista delle elezioni legislative previste nella prossima primavera
sembra iniziata una contesa tutta interna al mondo della emigrazione
tesa a fornire una risposta ad una domanda latente da tempo.
Chi ha le credenziali più idonee a rappresentare le comunità all’estero?
Il candidato ideale è nella mente di tutti: saggio, onesto, informato,
conosciuto, intelligente e chi più ne ha più ne metta. Le elezioni però
non sono utopia applicata alla realtà, ma un fatto concreto, molto
concreto, i cui risultati possono incidere sugli interessi degli
elettori. E dunque è necessario scegliere candidati idonei a
rappresentare le comunità fra persone che hanno alle spalle esperienza
culturale, professionale, pubblica, adeguatamente informati sulle
vicende politiche nazionali.
Il dibattito in corso, con toni anche aspri e in taluni casi decisamente
sopra le righe, verte sull’ambiente in cui tali personaggi debbono
essere ricercati: mondo dell’associazionismo o rappresentanze all’estero
riconducibili ai partiti politici nazionali.
La soluzione ideale sarebbe una comune appartenenza ad entrambi: ma come
si è detto poc'anzi la politica non appartiene all’utopia e spesso i due
ambiti non si sovrappongono. Le comunità, nel fare le scelte, devono
fare una attenta analisi dei comportamenti e trarne le conseguenze.
Nel lontano 1946 gli italiani tornavano al voto, esteso per la prima
volta anche alle donne. Un grande evento, ma già allora vi erano i
sintomi della condanna che avrebbe poi perseguitato i connazionali
all’estero. Erano infatti esclusi tutti coloro che per lavoro o per
vicende legate ai fatti bellici non erano rientrati in Patria.
Si trattava della prima esperienza elettorale dopo un durissimo
conflitto ed appariva irrealistico ricercare l’impeccabilità. In seguito
però la legge elettorale fu scritta dai partiti che reggevano le sorti
pubbliche e di nuovo il problema del voto degli italiani all’estero fu
accantonato nella sostanza. E lo fu per cinquant’anni! Questa è una
prima constatazione di cui va preso atto.
Non sfugge a nessuno che l’esercizio del voto non è soltanto espressione
di fermento democratico, ma è partecipazione attiva, informazione,
conoscenza, integrazione nella vita politica nazionale.
I partiti hanno forse assolto in maniera positiva a questa funzione di
collegamento fra comunità all’estero e comunità nazionale? Con
l’esclusione forse di alcune comunità residenti in Paesi europei
prossimi alla frontiera è davvero difficile dare una risposta positiva a
questa domanda. Ed è una seconda constatazione di cui va preso atto.
Chi ha mantenuto in loro vece i collegamenti con l’Italia, con la
Regione, con il Comune di origine? Sono state le associazioni di ogni
tipo, che hanno salvaguardato legami culturali, linguistici, religiosi,
che hanno consentito ai connazionali di non perdere identità, tradizioni
ed in qualche misura informazione. Ed è una terza constatazione di cui
va preso atto.
Dove scegliere quindi il candidato maggiormente idoneo a rappresentare
gli interessi delle comunità? Fra chi se ne è sempre occupato, per
cinquanta lunghi anni, in solitudine, nell’indifferenza o fra personaggi
pilotati e paracadutati più o meno di recente dalle segreterie dei
partiti?
Sono domande cui le comunità devono trovare una risposta. Essere a
favore dell’associazionismo non significa in alcun modo essere contro il
sistema dei partiti, laboratori di idee e di fermento democratico; si ha
invece l’impressione che questi ultimi si pongano contro il movimento
associativo.
Essere a favore dell’associazionismo significa soltanto preferire
candidati svincolati dall’obbedienza alle segreterie perché intimamente
legati alle comunità da cui provengono. E’ lapalissiano che la loro
preparazione sulle vicende politiche deve essere pari a quella della
media dei rappresentanti, con una specializzazione aggiuntiva, la
conoscenza ed il mandato pieno delle comunità all’estero, cui solo
dovranno rispondere.
Chi garantisce infatti i connazionali che i paracadutati delle
segreterie partitiche sapranno farsi ascoltare da orecchie che sono
state sorde per 50 lunghi anni? Chi li garantisce che gli appartenenti
agli apparati non cercheranno una nicchia in cui ritagliarsi una
collocazione, ossequienti alle direttive del partito, dimentichi di chi
li ha eletti?
Pensar male è peccato, ma spesso si colpisce nel segno. E’ opportuno che
gli italiani all’estero diffidino, almeno per la prima volta, di chi per
tanto tempo li ha trascurati e concentrino la loro attenzione su quei
personaggi che sono stati loro vicino durante il lungo periodo
dell’oblio.
È possibile che i partiti nazionali siano contrari a proposte di legge
razionali, concrete, sorrette da motivazioni serie soltanto perché chi
le propone non è irreggimentato, non è uomo di apparato? Sembrerebbe
strano ed eventualmente non sarebbe che un ulteriore tradimento nei
confronti degli italiani all’estero.
Già lo è il solo ventilare una tale minaccia. Ed è la quarta
constatazione.
Il mondo dell’emigrazione, con la conquista del voto, è destinato a
diventare, come mai nel passato, parte integrante della politica estera
nazionale.
Il peso specifico dei rappresentanti degli italiani all’estero può
essere esercitato compiutamente in occasione di visite istituzionale
fuori dai confini nazionali da parte di rappresentanti di Governo ed
opposizione: i comportamenti saranno ovviamente calibrati
sull’attenzione rivolta al soddisfacimento di aspettative legittime e
razionali dei connazionali.
In tali occasioni l’influenza che potranno esercitare anche nei
confronti delle autorità politiche dei Paesi di accoglienza sarà tanto
più significativa se essi non appartengono al sistema dei partiti e non
debbono soggiacere alle imposizioni delle segreterie politiche ed al
gioco di opposte fazioni, ma soltanto all’interesse delle comunità che
rappresentano.
Solo se liberi da condizionamenti ed autonomi essi saranno forti. Ed è
l’ultima constatazione.