Mediterraneo, sicurezza e stabilità alla riunione dei 5+5 (21
dicembre 2005)
È passato quasi sotto silenzio, ma un passo importante sulla via di una
trasformazione del Mare Mediterraneo in un lago di pace è stato compiuto
nei giorni scorsi quando si è riunito ad Algeri il vertice dei ministri
della Difesa di Algeria, Marocco, Libia, Mauritania e Tunisia, Italia,
Francia, Spagna, Portogallo e Malta.
I processi di pacificazione seguono spesso procedure lunghe e
complicate, i Ministri colloquiano e discutono, emettono comunicati,
stringono accordi economico/commerciali e culturali, ma non sempre
riescono a vincere le diffidenze reciproche, che resistono anche oltre
le buone relazioni economiche.
Tuttavia una riunione di più Ministri della Difesa intorno ad un tavolo
per stringere accordi di cooperazione, per mettere in comune risorse e
procedure, per individuare e mettere in atto pianificazioni a lungo
termine è un segnale di profondo ottimismo.
Tali riunioni infatti sono precedute, come tutte quelle di livello
ministeriale, da incontri a livello tecnico, dove Ufficiali delle
diverse Nazioni mettono in comune le rispettive capacità, imparano a
conoscersi ed a muoversi fra i meandri di abitudini, consuetudini, modi
di pensare e di reagire profondamente diversi, avendo tutti in comune
l’obiettivo di lavorare insieme.
E nel momento in cui i militari si confrontano parlando la pace sta
vincendo.
L’Italia è partita da lontano, con lungimiranza, nell’affrontare
un’impresa che pareva impossibile: colmare il profondo fossato di
rancori e diffidenze che una lunga, sanguinosa, crudele guerra di
liberazione aveva tracciato in particolare fra l’Algeria e la Francia,
cui comunque venivano associate le Nazioni nord-mediterranee.
Si guardava con allarme alla vicinanza all’Unione Sovietica della
dirigenza algerina, uscita in massima parte dalle fila dell’Esercito di
Liberazione Nazionale (ALN) e formata per lo più nelle scuole sovietiche
e nasseriane, ed alla minaccia che proveniva al nostro Paese dal fronte
Sud: qualcuno però aveva maturato la sensazione che l’Algeria non
cercasse nuovi padroni, ma amici, rispettosi della ritrovata
indipendenza.
Consapevoli che ancora per lungo tempo la dirigenza politica di quel
Paese sarebbe uscita dai ranghi delle Forze Armate, nel 1967 l’Accademia
Navale di Livorno apriva le sue porte agli Allievi Ufficiali algerini.
La fortunata scommessa del gasdotto che attraverso il Mediterraneo
trasportava linfa vitale verso l’Italia, la entusiasmante visita del
Presidente Pertini, l’aiuto generoso in occasione del terribile sisma di
El Asnam nel 1980, aprirono spiragli nella diffidenza algerina.
Ciononostante nulla fu facile. Gli algerini erano degli interlocutori
duri, difficili, sospettosi e talvolta arroganti: la strategia del tutto
o niente si era rivelata pagante nella lotta contro la Francia e
continuava spesso a venire applicata anche nelle mutate condizioni,
portando acqua al mulino di coloro, ed erano tanti, che si opponevano ad
una politica di lento riavvicinamento.
D’altra parte l’intera regione nord-africana appariva sconvolta da
rivalità profonde, da incomprensioni, da laceranti conflitti, anche
personali, fra leaders politici: vi sono problemi tuttora irrisolti che
dividono nazioni confinanti, come ad esempio la sorte del territorio
dell’ex Rio de Oro, occupato dal Marocco e di cui una parte della
popolazione rivendica l’indipendenza.
L’Algeria, in particolare, ha vissuto un terribile travaglio, pagando un
immane tributo di sangue e di violenza, nell’incomprensione e nella
freddezza dell’intero mondo politico occidentale, nel tentativo
fortunatamente ormai riuscito, di impedire l’instaurarsi di un regime
teocratico fondamentalista sulle sponde del Mediterraneo.
Ed ora finalmente ci si siede intorno ad un tavolo e si tratta su
argomenti, anche militari, di grande rilevanza, quali il controllo del
traffico aereo e marittimo e dell’impiego delle Forze Armate in caso di
calamità naturali. E’ appena il caso di sottolineare che accettare forme
di controllo e l’eventuale presenza sul proprio territorio di soldati
appartenenti ad altra Nazione è una prova di altissima fiducia,
soprattutto per Paesi di recente indipendenza.
È tutto facile ormai? Certamente no, ma una porta è aperta ed una strada
è tracciata verso una rafforzata cooperazione fra le due sponde del
Mediterraneo.
Essa potrà essere percorsa in futuro da quelle schiere di tecnici che si
adoprano per esportare non solo materiali, ma conoscenze, relazioni,
rapporti personali.
Molti li hanno preceduti, in condizioni difficili, ed hanno duramente
lottato per conquistare fiducia e con essa mercati e lavoro.
Le mutate condizioni che sembrano proporsi sono una sfida per il
coraggio e l’intraprendenza di chi avrà voglia di misurarsi con la
ricerca di modernità dei Paesi emergenti della sponda Sud del
Mediterraneo.