A proposito della sospensione dell'attività del CGIE (2 febbraio
2006)
La forzata sospensione dell’attività del CGIE a causa della ormai nota
sentenza del TAR del Lazio e della conseguente diffida inviata dagli
avvocati della CNA e del suo Patronato ha portato alla luce alcuni nervi
scoperti e le lacune della legge istitutiva.
Innanzi tutto la gestione delle risorse: come noto essa non è curata in
autonomia dal Consiglio, ma dal Ministero degli Affari Esteri attraverso
il funzionario che ricopre l’incarico di Responsabile della Segreteria.
Appare appena il caso di sottolineare come non sia possibile chiedergli
di impegnare i consistenti fondi necessari per una convocazione, di cui
è garante in solido, senza avere la certezza che l’Amministrazione
riconoscerà l’impegno finanziario derivante, evento che la sentenza
mette in forse.
Ben più grave appare tuttavia la riapparizione, che sembrava ormai
dimenticata, della dialettica ostile da parte di alcuni Consiglieri
eletti verso quelli di nomina governativa e addirittura del tentativo di
delegittimazione del CGIE, invocandone l’abolizione per manifesta
inutilità: alcune voci si sono fatte sentire per sostenere che la
rappresentanza democratica degli italiani all’estero é adeguatamente
realizzata dai soli Consiglieri eletti, non colpiti dalle conseguenze
della sentenza, senza ulteriore necessità di essere completata da altri.
E qui viene alla luce l’inadeguatezza della visione del mondo degli
italiani all’estero da parte del legislatore o una applicazione distorta
della norma legislativa.
Infatti i Consiglieri di nomina governativa, come appare nello spirito
della legge illustrato brevemente nella relazione che ne accompagna la
presentazione al Parlamento, avrebbero dovuto costituire l’anello di
congiunzione fra la rappresentanza eletta, che si immaginava forse
sprovveduta, lontana dalla dialettica politica, e le istituzioni
nazionali, partiti, associazioni, sindacati, patronati.
Nella pratica applicazione della legge è invece avvenuto che gran parte
dei componenti eletti nel CGIE fanno riferimento a organizzazioni di
patronato o politiche, che hanno già un intenso e diretto collegamento
con il mondo istituzionale italiano e rendono di fatto, se non
superflua, certamente ridondante la rappresentanza delle Istituzioni
all’interno del Consiglio.
Si è poi verificato che il CGIE attuale ha assunto una decisa
connotazione politica, avversa alla maggioranza parlamentare in essere,
diventando cassa di risonanza delle rivendicazioni, talvolta soltanto
demagogiche, di forze politiche alla ricerca dello scontro più che alla
individuazione della soluzione dei problemi, perdendo in questo modo
quel ruolo di propulsione, consulenza e cooperazione che avrebbe dovuto
essergli proprio.
In questo primo scorcio di attività, dal luglio 2004, pur nell’intensa
attività svolta, è mancata una profonda riflessione sulla necessità di
modifiche alla legge istitutiva, sulla evoluzione possibile del CGIE,
sui rapporti con la futura rappresentanza parlamentare, sulle priorità
dei provvedimenti a beneficio delle comunità all’estero ed infine sulle
divergenze fra Circoscrizioni elettorali per il Parlamento e quelle per
il Consiglio.
A proposito di queste ultime appare appena il caso di sottolineare che
mentre la legge istitutiva del CGIE pone, in relazione ai numerosi
legami economici, di cooperazione, industriali, il Nord-Africa e l’area
sub-sahariana nell’area euromediterranea, la legge elettorale unisce
questa regione correttamente al resto del continente africano, ma
attaccando il Continente stesso ad Asia ed Oceania, negandole di fatto
ogni possibilità di rappresentanza nel Parlamento nazionale.
La legge elettorale dunque va rivista nel segno di riconsegnare
all’immenso Continente Africa autonomia circoscrizionale con la sua
rappresentanza politica certa.
In conclusione il ricorso al TAR della CNA, una iniziativa legittima, ma
forse improvvida e che avrebbe potuto essere meglio gestita dall’area
cui fa riferimento politico, ha provocato il congelamento dell’attività
del Consiglio in un periodo certamente cruciale per le comunità italiane
all’estero e per il futuro del Consiglio stesso.
Appare ora chiaro che, giunti in periodo elettorale, ogni soluzione
diventa difficile e probabilmente dilazionata: le sorti del CGIE
difficilmente rientrano, a parte le uscite demagogiche, fra le priorità
di forze politiche e del governo e che nella più favorevole delle
ipotesi l’argomento rientrerà nell’agenda dei problemi da risolvere al
termine delle vicissitudini elettorali e dell’insediamento del nuovo
Parlamento, verso l’inizio del prossimo autunno.
L’augurio che accompagna il ritorno alla piena operatività del CGIE è
che esso sia capace di sviluppare una profonda autocritica e rivolgere
la propria attenzione, con la partecipazione attiva della rappresentanza
parlamentare eletta nelle circoscrizioni Estero, ad una convinta
revisione del proprio ruolo, cominciando dalla legge istitutiva.