Piccoli passi concreti: il riconoscimento dei titoli di studio
conseguiti all’estero (7 marzo 2006)
Un documentario ha di recente presentato alcune delle più belle città
del mondo e delle più imponenti opere realizzate, dighe, ponti, strade,
gallerie.
C’è da chiedersi quanti ingegneri e tecnici di origine o addirittura di
passaporto italiano abbiano contribuito alla loro ideazione e
realizzazione.
C’è da chiedersi, poi, quanti di loro potrebbero contribuire ad analoghe
creazioni nel nostro Paese.
Il timore è che la risposta sia: nessuno.
Alla base c’è un problema irrisolto, ed è quello del riconoscimento dei
titoli di studio conseguiti da cittadini italiani all’estero nei Paesi
di accoglienza, siano essi delle scuole secondarie che degli istituti
universitari.
Non vi é alcun dubbio che alcune professioni richiedano una più spiccata
caratterizzazione nazionale, dovunque siano richieste conoscenze
specifiche di normative, leggi, consuetudini, pensando, a titolo di
esempio, all’esercizio di tutte le funzioni legate all’avvocatura. Ma un
grattacielo, una diga, un ponte che restano in piedi sfidando anni,
intemperie, terremoti, trombe d’aria sono sicuramente stati ideati e
costruiti seguendo procedure di studio ben definite tecnicamente,
dettate dai capitolati di appalto ed esse non si differenziano
sostanzialmente da Paese a Paese.
Un ingegnere, dunque, sembrerebbe in grado di svolgere la sua
professione ovunque nel mondo e l’esempio potrebbe essere calzante per
un medico, un biologo, un matematico, in genere per la maggior parte
delle professioni di derivazione scientifica. La realtà è invece ben
diversa: il riconoscimento dei titoli scolastici è una battaglia lunga,
difficile, tocca sensibilità, prestigio, interessi, privilegi, autonomia
degli istituti universitari e delle scuole superiori.
E’ un tema talmente delicato che non ha ancora trovato una soluzione
automatica fra le Università del nostro Paese. Infatti un recente
decreto governativo, già approvato dal Senato ed in discussione alla
Camera, che prevede la possibilità di far valere automaticamente i
crediti universitari (leggi esami) acquisiti da uno studente presso una
Università in qualsiasi altra della Penisola, ha fatto saltare sulle
loro poltrone i Rettori delle Università più titolate. Essi perderebbero
infatti l’autorità ed il prestigio derivanti dalla baronia universitaria
e temono che i più furbi o i più ricchi fra gli studenti possano
effettuare una sorta di shopping di crediti (esami) fra gli Istituti
universitari meno accreditati da far valere poi presso Università dal
titolo prestigioso.
Immaginare che questa mentalità avvicini alla soluzione il problema del
riconoscimento di un titolo acquisito, per esempio, presso l’Università
di Buenos Aires o Rio de Janeiro è davvero difficile. Eppure questa
riforma non richiede altro che buona volontà, almeno per iniziare.
Sedersi intorno ad un tavolo, esaminare nel dettaglio i piani di studio,
la formazione dei docenti, equiparare verso l’alto, non come nel 68, il
livello dei risultati, premiare concretamente i più meritevoli,
prevedere scambi di insegnanti e studenti: si richiede in definitiva di
affrontare il problema con una visione aperta, di trasformare un
atteggiamento conservatore e favorevole all’arroccamento delle baronie
universitarie a difesa dell’immobilismo che, quasi per caso, è
pienamente sostenuto dal parlamentare diessino Walter Tocci, in
disponibilità ad accogliere esperienze diverse in uno sforzo teso ad
individuare le possibilità di arricchimento intellettuale e scientifico,
senza discriminazioni e diffidenza.
Ecco un altro dei piccoli passi concreti capaci di attivare riforme e di
mutare atteggiamento nei confronti degli Italiani all’estero, un impegno
che i prossimi Rappresentanti parlamentari dovranno assumere, a
qualsiasi schieramento essi appartengano.