Parliamo di informazione ma anche di altro (15 marzo 2006)
Qualche giorno fa ho evocato come impellente ed ulteriormente
ineludibile il tema della centralità dei Consolati, pur nella
consapevolezza del gravoso impegno di risorse, in personale e
finanziarie, richiesto per ripristinare un clima di serena fiducia fra
le collettività degli Italiani all’estero e lo Stato, che è stata
incrinata con miopia e con una visione provinciale e spesso
smaccatamente retorica e mercantilistica della funzione delle comunità
italiane.
Mi pare necessario modificare sostanzialmente l’approccio al problema:
dare inizio ad azioni concrete e misurabili che rivelino un ritorno di
attenzione verso i connazionali all’estero.
Centralità dei Consolati, dunque, ma non solo.
Informazione e cultura dovranno accompagnare questa azione di rinascita
e di rinnovata attenzione.
Pur essendo due temi sostanzialmente diversi è tuttavia innegabile che
l’informazione è il veicolo utilizzato per diffondere lingua e cultura,
con particolare riguardo, e non me ne si voglia, alla televisione.
Dopo la seconda guerra mondiale essa ha supplito alla funzione che
sembrava affidata in precedenza al servizio militare nella conoscenza
delle realtà del nostro Paese ed ha portato la lingua nazionale in tutte
le case.
Tuttavia la sensazione lasciata dalle trasmissioni di RAI International
è avvilente: la giustificazione che il budget della rete copre soltanto
l’8% dei programmi, mentre tutta la rimanente programmazione deve essere
scelta fra quella delle reti nazionali, non è accettabile.
E’ inammissibile poi la assenza dell’emittente dal settore
dell’informazione politica: le percentuali di partecipazione alle
elezioni dei Comites, quelle del referendum sulla procreazione
assistita, anche se di difficile interpretazione, avrebbero dovuto
suonare come un campanello di allarme.
Si è invece trascurato, in una situazione di colpevole indifferenza, il
modesto grado di coinvolgimento delle comunità, lasciando degradare una
situazione che già appariva compromessa.
Si sarebbe dovuto chiarire, spiegare, approfondire: dalle elezioni dei
Comites sono passati invano a questo fine due anni.
I candidati alle prossime elezioni, poi, ci hanno messo del loro, poiché
invece di illustrare i programmi dei partiti e delle coalizioni di
appartenenza hanno immesso nell’attuale campagna elettorale massicce
dosi di veleno, spesso a livello personale.
In una recente conferenza un oratore ha porto alla riflessione una sua
teoria sull’indifferenza e l’apparente modesta partecipazione delle
comunità nelle vicende politiche che precedono queste elezioni: gli
Italiani all’estero, e qui parlava in particolare di quelli oltreoceano,
non capiscono e non vogliono essere partecipi di un processo in cui
mezza Italia appare disonesta, arrogante, incapace. La loro immagine è
diversa e rifiutano il coinvolgimento in questo mondo che non capiscono.
Vero o falso che sia, non vi è dubbio che é gravemente mancata una seria
politica da parte della RAI verso le comunità: sono mancati programmi
mirati, bilingue, veramente internazionali, capaci di coinvolgere gli
italiani all’estero con una visione aperta, di avviare uno scambio di
esperienze fra giornalisti di diversa provenienza, anche locali, è
mancata la voglia di perseguire uno scambio informativo vivace, foriero
di una informazione di ritorno, utile anche a sprovincializzare un mondo
giornalistico, quello solito degli inviati speciali, spesso troppo preso
di sé.
Appare quindi necessario “rivedere” Rai International, ridisegnarne la
missione, i compiti, adeguare le strutture, assicurare le risorse
necessarie per conquistare un mercato, dell’informazione e
dell’intrattenimento in lingua nazionale, che sembra essere fuori
controllo, emanare una normativa che rispetti il pluralismo e si integri
con efficacia con l’informazione locale, favorendone lo sviluppo
capillare sul territorio, sia su carta stampata che sull’etere.
Ho deliberatamente voluto far seguire a due argomenti a basso costo per
le casse dello Stato, l’assistenza sanitaria agli Italiani all’estero in
visita nel nostro Paese ed il riconoscimento dei titoli di studio, due
altri decisamente onerosi per impegno e costi, la centralità dei
Consolati e l’informazione, in particolare televisiva, ma non solo,
diretta oltreoceano ed in Europa.
Essi sono indicativi, se affrontati ed avviati a soluzione, di una
scelta operativa che delinea un mutamento nell’approccio della classe
politica verso le comunità italiane all’estero.
Sono consapevole che molti sono i problemi, ma anche che funzionalità
dei Consolati ed informazione plurale, completa e corretta sono una
solida base per iniziare a colmare la distanza che separa la comunità
nazionale da quella della diaspora italiana.
In questa fase della campagna elettorale è troppo comodo sostenere che
nessuno ha la bacchetta magica: suona già come giustificazione di una
sottomissione al volere delle segreterie dei partiti che, qualsiasi
coalizione raggiunga il successo, si troveranno ad affrontare e pilotare
l’uscita da un periodo di crisi economica dell’intera Comunità europea,
fra mille rischi e molta prudenza.
Ho già affermato in un mio precedente articolo che i rappresentanti in
Parlamento degli Italiani all’estero dovranno mettere in campo
perseveranza, capacità di convincere, autorevolezza ma, soprattutto,
spirito di servizio.
La loro stella polare non potrà e non dovrà essere la segreteria del
partito che li ha candidati, ma gli elettori che, per la prima volta, li
hanno eletti e che su di loro hanno riposto speranze ed aspettative.
Dovranno essere capaci di inserirsi pienamente nello schieramento che
hanno scelto, ma allo stesso tempo, con funzione bipartisan, costituire
un cuneo sempre operativo quando si tratta di questioni vitali per
l’emigrazione.
Qualcuno ha scritto, e condivido pienamente, che “all’emigrazione non
servono parlamentari generici, portaborse di partito o mere mani
votanti, ma persone che hanno a cuore l’interesse della comunità e
sappiano gestire con creatività questo nuovo ruolo”.
E’ quanto mi riprometto di fare se sarò accompagnato dalla fiducia degli
elettori, operando all’interno della coalizione che mi ha candidato sui
grandi temi della vita nazionale, ma accordandomi anche con il diavolo –
e non me ne voglia padre Tassello - pur di giungere alla soluzione dei
maggiori problemi della emigrazione, avendo come unico riferimento
aspettative ed esigenze delle comunità.