Interventi

Paesi poveri e cancellazione del debito: avanti ma con giudizio (2 agosto 2006)

Da molto si parla di cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo, e tale iniziativa sembra sempre più in auge tra i Governanti Occidentali quale strada maestra per iniziare finalmente a risollevare quella larga parte del mondo afflitta da miseria, fame, sete, disperazione.
Nel lontano 1996, con il sostegno di parecchi Paesi ricchi e l’avallo di molte Organizzazioni non governative, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale lanciarono questa iniziativa al fine di evitare che il credito, normalmente uno strumento positivo per un Paese, diventasse in realtà un peso insostenibile posto sulle gracili spalle di Stati già schiacciati dalla miseria e di Governi non abbastanza stabili e forti da mantenere impegni di lungo periodo come quello del ripianamento del debito pubblico.
L’iniziativa è stata salutata da molti, noi compresi, come un’idea finalmente concreta ed efficace per cercare di dare tutti, a livello di comunità internazionale, il proprio contributo per la risoluzione di un problema drammatico.
Nella ricerca delle modalità concrete in cui tramutare in fatti questa idea, si riscontra tuttavia che il dibattito ha generato più calore che luce, ed è stato caratterizzato più dal sentimento che dalla razionalità.
Molti, partendo da varie considerazioni senza dubbio valide, hanno chiesto che il debito dei Paesi in via di sviluppo sia cancellato totalmente ed incondizionatamente.
Indubbiamente, tale soluzione sembrerebbe la migliore, non solo da un punto di vista pratico, ma anche partendo dalla considerazione degli obblighi morali di un Occidente ampiamente responsabile dell’attuale condizione in cui versa il Sud del mondo.
Tuttavia, una cancellazione senza condizioni è una soluzione non solo giusta, ma anche efficace ed efficiente soltanto se si è certi che il problema non si ripresenterà in futuro, come sottolineato dal prof. Carlo Filippini, docente di Economia Politica presso l’Università Bocconi di Milano.
Nella dura realtà invece, il gioco economico che si sta verificando è un gioco ripetitivo: alcuni Paesi in via di sviluppo si ritroveranno in futuro nella medesima situazione, con un fardello debitorio eccessivo, se non si pongono condizioni e regole alla cancellazione del debito.
Infatti, se questa iniziativa di grande idealismo e vision (per usare un concetto tanto caro alla cultura Anglosassone) dovesse diventare, nella sua applicazione concreta, niente di più e niente di meno che un condono, la lunga esperienza italiana di condoni di ogni tipo dovrebbe subito renderci consapevoli dei suoi limiti: sarebbe un incentivo, per i Paesi beneficiari, a comportarsi come in passato.
Perché usare i finanziamenti stranieri ed i fondi per la cooperazione allo sviluppo per dare vita ad investimenti produttivi che permetteranno di ripagare in futuro il credito illimitato dell’Occidente? Molto meglio spendere i soldi ricevuti in beni di consumo e in lussi di stampo Occidentale e consumista, ovviamente riservati ai gruppi dominanti.
Con l’aggravante che più il debito è ingente, più è generoso il mondo Occidentale.
Ovviamente, l’idea sbagliata e immorale del “tanto paga Pantalone”, che si rischia di suscitare nelle élites di governo dei Paesi in via di sviluppo con una cancellazione del debito incondizionata, potrebbe essere portatrice di effetti disastrosi: tipico caso in cui la medicina rischia di uccidere il paziente.
Una soluzione migliore è quella di legare la progressiva riduzione del debito ad una serie di condizioni, relative all’attuazione di riforme e di politiche economiche e sociali che riducano la povertà, aumentando la spesa in salute, istruzione, infrastrutture e simili.
Questa soluzione è particolarmente valida se si tiene in considerazione che il maggiore ostacolo allo sviluppo per i Paesi poveri è costituito dalla carenza drammatica di istituzioni politiche efficienti, di una visione chiara del bene pubblico, di funzionari competenti che si sentano servi dello Stato e non padroni del cittadino.
Una cancellazione del debito condizionata al positivo raggiungimento di obiettivi di good governance, in questo quadro, non rappresenta un’indebita intromissione nella politica interna di questi Stati, né un retaggio post-colonialista Occidentale, bensì il tentativo di rendere economicamente produttivo ciò che è già moralmente giusto.

Torna alla pagina precedente